
L'espressione "Apriti Sesamo" — Iftah yā simsim — affiora nella cultura arabo-islamica come formula di passaggio, di rivelazione e di apertura tra due stati dell'essere. La sua origine immediata si trova nella storia di ʿAlī Bābā e i quaranta ladroni, una delle più celebri del ciclo delle Mille e una Notte. Ma al di là del racconto popolare, la formula custodisce un senso molto più profondo, che tocca il linguaggio della conoscenza, la natura del seme e il mistero stesso dell'apertura spirituale.
Nota metodologica: il riferimento a “Apriti Sesamo” come formula iniziatica non nasce da una tradizione esoterica codificata nell’Islam classico, ma da una lettura simbolica personale. La storia di ʿAlī Bābā appartiene soprattutto al livello fiabesco e folklorico delle Mille e una Notte, non all’esegesi coranica. Qui la tratto come campo imaginale: un luogo in cui il racconto popolare può entrare in risonanza con strutture più profonde del simbolo.
Origine narrativa
Nel racconto, la grotta dei ladroni — chiusa da una roccia e invisibile ai profani — si apre solo pronunciando le parole giuste: "Apriti Sesamo". ʿAlī Bābā, testimone del rito dei briganti, ne apprende la formula e la ripete.
Il luogo inaccessibile si dischiude.
La montagna si apre come un frutto maturo.
L'uomo, grazie alla parola, penetra nel segreto.
La potenza dell'immagine risiede nel rapporto tra linguaggio e realtà: la parola giusta non descrive, ma agisce. È una chiave ontologica. Ogni lingua sacra conosce questa potenza: nel dire si compie l'essere.
Il simbolo del sesamo
Il sesamo è un seme antichissimo, diffuso in Mesopotamia, Persia, India. Quando il suo frutto giunge a maturità, il baccello si apre spontaneamente con un suono secco, lasciando cadere i semi. È un gesto naturale di deiscenza, parola che significa letteralmente "scissione, apertura".
Questa caratteristica biologica è all'origine della formula magica: il sesamo che si apre da solo diviene il simbolo dell'accesso al nascosto, della soglia che si dischiude senza violenza.
Nella tradizione semitica la radice š-m-š rimanda al sole (in ebraico šemeš), così che il sesamo — simsim — può essere inteso come seme solare, deposito della luce racchiusa nella materia. Quando matura, libera questa luce, come il corpo che si apre allo spirito.
Nota linguistica: il collegamento tra simsim (sesamo) e la radice semitica š-m-š (sole) è proposto qui come associazione simbolica e non come etimologia dimostrata. Le lingue semitiche condividono campi fonetici e radici che possono richiamarsi, ma non è provato in modo univoco che “sesamo” derivi da “sole”. La lettura del sesamo come “seme solare” appartiene al livello imaginale, non a una ricostruzione filologica.
L'apertura come atto iniziatico
Nella lingua araba il verbo fataḥa (aprire) genera parole di alta densità mistica:
Fatḥ è l'apertura, ma anche la rivelazione spirituale.
Al-Fattāḥ è uno dei nomi divini, "Colui che apre i mondi".
La formula Iftah yā simsim dunque può essere letta non solo come un comando magico, ma come un'invocazione al divino atto dell'aprire, al principio che dischiude i livelli dell'esistenza.
Precisazione: collegare “Apriti Sesamo” al Nome divino Al-Fattāḥ non significa sostenere che la fiaba sia stata composta come commento teologico a questo Nome. Uso il campo semantico di fatḥ (“apertura”) come risonanza simbolica: nelle parole della radice f–t–ḥ l’aprire fisico, psicologico e spirituale si specchiano, e la formula fiabesca viene letta alla luce di questo campo.
L'atto dell'aprire non è qui fisico: è l'apertura della percezione, del cuore, della coscienza. Il sesamo non è solo un seme, ma un modello: si apre quando è pronto. L'apertura non si forza, si compie al suo tempo, come un'iniziazione naturale.
Lettura corbiniana
Henry Corbin, nel suo Corps spirituel et Terre céleste, coglie questa stessa dinamica nel linguaggio dei mistici iranici. Per lui, ogni atto di "apertura" è il momento in cui si manifesta il corpo di luce all'interno del corpo materiale, come il seme che si schiude e libera il germoglio.
La "Terra celeste" è il luogo in cui avviene questa metamorfosi: il mondo intermedio (ʿālam al-mithāl), che unisce visibile e invisibile.
Nel gesto del sesamo che si apre, Corbin avrebbe riconosciuto la metafora del passaggio: la maturità dell'anima che lascia schiudere il suo contenuto luminoso. "Apriti Sesamo" diventa così un'eco della fatḥ al-bāb, l'apertura della porta che conduce dal mondo terrestre al mondo imaginale.
È un linguaggio di corrispondenze: la grotta del racconto e la cavità del cuore sono lo stesso spazio simbolico. La parola che le apre è la conoscenza immaginale, non discorsiva ma visionaria.
Nota su Corbin: per quanto mi risulti, Henry Corbin non commenta direttamente la formula “Apriti Sesamo”. L’uso del suo pensiero in questo testo è una trasposizione: applico le sue categorie di “corpo di luce”, “Terra celeste” e ʿālam al-mithāl a un’immagine fiabesca. Si tratta di una lettura corbiniana in senso esteso, non di una posizione dottrinale esplicitamente formulata da lui.
Il valore universale della formula
Ogni cultura ha la propria "parola che apre": il Fiat lux della Genesi, il Satori zen, il Logos eracliteo, il Mantra vedico.
"Apriti Sesamo" appartiene a questa genealogia: un suono che non descrive ma trasforma, un comando che apre mondi.
Il suo significato più profondo è che l'apertura non è conquista, ma maturazione.
Il sesamo non si apre se non è pronto; la porta non si schiude se non vi è orecchio per la parola giusta.
Ogni "apertura" presuppone un tempo interiore, un grado di luce.
Osservazione epistemologica: i parallelismi con Fiat lux, Logos, mantra, satori non intendono livellare le differenze tra tradizioni, né affermare una origine comune. Mettono in luce una funzione simbolica condivisa: la parola che non si limita a rappresentare, ma inaugura uno stato, un mondo, una forma di coscienza.
Interpretazione personale
Nel mio immaginario, Apriti Sesamo rappresenta il momento in cui l'interiorità si fa caverna sonora, pronta a rispondere alla parola che la risveglia.
Il seme è la coscienza chiusa nella sua forma terrena, e la formula è l'impulso che la apre al suo principio solare.
Non si tratta di un gesto esterno, ma di un'esperienza di risonanza: la parola risuona dentro e fuori simultaneamente, come se il mondo stesso dicesse "Apriti".
Là dove la materia si apre e la luce passa, si rivela la Terra Celeste — non in un altrove, ma nel cuore stesso della materia, nel piccolo miracolo quotidiano di un seme che si dischiude.
Qui il registro è dichiaratamente personale: non descrivo una dottrina mistica precostituita, ma un modo soggettivo di abitare l’immagine. La fiaba diventa un laboratorio interiore in cui verificare, attraverso l’esperienza, che cosa significhi essere “sesamo”: forma chiusa che matura fino all’apertura.
"Apriti Sesamo" non è un punto d'arrivo, ma un movimento che continua.
Non chiude: apre.
Continua a suggerire che ogni cosa — un seme, una parola, una cavità della montagna, un gesto della coscienza — custodisce un varco.
L'immagine del baccello che si schiude da solo rimane come una postura dell'essere: lasciare maturare il proprio segreto fino a quando si apre senza sforzo, come un passaggio naturale tra due stati.
In questo gesto minimo, quasi impercettibile, si attiva un principio più ampio: la luce che era compressa nella materia trova il suo spazio, la parola giusta risuona nel punto in cui è attesa, e ciò che era nascosto non viene svelato con violenza, ma si lascia rivelare.
Non è una conclusione, ma una soglia che rimane aperta. Un invito costante all'ascolto del momento in cui qualcosa, dentro o fuori, matura e dice: ora.